Dagli open data agli open services per una città davvero intelligente

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La concettualizzazione delle “Smart Cities”, al netto di alcune differenze, è ormai sufficientemente definita anche se, a onor del vero, il termine “smart” è davvero troppo abusato e provoca, in chi lo ascolta, un certo disagio che assomiglia a quello che si prova quando si sente parlare di “2.0”.

In ogni caso il modello base per una città intelligente prevede fondamentalmente tre elementi:

* open data 
* sensorialità 
* connettività

Comunque la si pensi questi sono i fattori centrali intorno a cui possono essere costruiti servizi innovativi da offrire al cittadino.

Questo approccio è certamente interessante, il problema è che può non essere sufficiente.

Quello che manca in questo scenario, è un ponte che colleghi i dati (che si suppone siano “open”) ai servizi offerti al cittadino, un’infrastruttura che consenta di accedere in modo sicuro, trasparente e, se serve, profilato a tutti i dati che si ritiene debbano essere resi pubblici dalla pubblica amministrazione.

Questo ponte, che io definisco Open Services, è uno strato di infrastruttura tecnologica che espone ai cittadini non esclusivamente i dati grezzi, ma veri e propri servizi tecnologici di infrastruttura (per i tecnologici: stiamo parlando di qualcosa che assomiglia molto ad una SOI) che possano essere utilizzati da tutti in forma gratuita ed integrati in applicazioni mobile, portali web, applicazioni per smart tv, cruscotti evoluti per le auto, ecc.

La differenza tra esporre il dato grezzo in formato CSV ed un servizio di infrastruttura integrabile è un passo importantissimo per facilitare la produzione di applicazioni che utilizzino gli open data e possano aggregarli, arricchirli e dar loro il valore aggiunto di essere direttamente fruibili dal cittadino, creando tra le altre cose un nuovo potenziale mercato in cui ad emergere sarà chi saprà fornire servizi più innovativi ed utili ai cittadini con i dati a disposizione utilizzando i servizi di base resi pubblici dalla pubblica amministrazione.

La presenza di uno strato di Open Services inoltre consentirebbe di avere i dataset di open data sempre aggiornati, senza dover dipendere dalla pubblica amministrazione per gli aggiornamenti e per la pubblicazione sui siti istituzionali.

Un modello migliore e più completo di città intelligente prevede quindi quattro elementi:

* open data: (pubblici, aperti, gratuiti) non esposti direttamente come dati grezzi
* open services: (pubblici, aperti, gratuiti, profilati se serve) che espongano i dati alle applicazioni
* sensorialità: per fornire informazioni di contesto ai servizi applicativi
* connettività: come base generale di infrastruttura

Con questa dotazione non resterà che dar spazio alla fantasia e creare servizi davvero innovativi per il cittadino.


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  • Anna Cavallo |

    Il percorso verso gli OpenData presuppone un cambiamento culturale sia da parte delle pubbliche amminstrazioni che producono e liberano i dati, sia da parte dei potenziali utilizzatori che li possono usare.
    Da un lato infatti è necessario condurre un cammino che presuppone da parte delle PA un passaggio graduale verso le 5 stelle di Tim Barner Lee, ricordiamo il famoso “raw data now”, e quindi una progressiva liberazione dei dati da semplici informazioni su un sito istituzionale (identificabili con concetti di trasparenza a una stella) attraverso file CSV (tre stelle) fino a Open Linked Data (5 stelle).
    Dall’altro alto, e contestualmente, è necessario trasformare quegli stessi dati in informazioni e quindi renderli accessibili fondamentalmente sotto forma di servizi o API, che consentano all’utilizzatore finale di accorpare singoli servizi atomici per crearne di nuovi e a valore aggiunto: da Open Data a Open Services.
    E’ quello che il CSI Piemonte sta conducendo nell’ambito del Progetto Europeo OPENDAI (Opening Data Architectures and Infrastructures of European Public Administrations – http://www.open.dai.eu) progetto finanziato nell’ambito del programma ICT – Competitiveness and Innovation framework Programme (CIP- Call 2011) al fine di sperimentare una nuova architettura in cui i silos informativi di dominio della PA vengono aperti mediante un infrastruttura tecnologica, scalabile in ottica cloud, volta agli Open Services.
    Ma a fianco della necessaria evoluzione verso gli Open Services, il percorso verso le 5 stelle degli Open Linked Data, esposti come dati grezzi accompagnati dalla loro componente semantica, è comunque una strada da perseguire al fine di consentire la creazione di nuova conoscenza, in ottica di democrazia partecipata da cittadini di “smart cities”.

  • Max |

    @Roberto: la separazione tra dato (grezzo o aggregato che sia) e l’accesso allo stesso è alla base delle architettura IT di qualità. Nel caso specifico degli open data (che non necessariamente sono BigData) è determinante per garantire l’accesso standardizzato ai dati senza preoccuparsi del loro formato, ma solo di chiamare correttamente i servizi che li servono. Lo strato di #openservices è pertanto essenziale per realizzare un’infrastruttura di qualità.
    Grazie per il suo commento.

  • Roberto |

    Io non sono d’accordo che si debba parlare di open service come del quarto elemento. E’ molto probabile che i Big Data così come saranno non serviranno ad un gran che se non in una visione estremamente verticalizzata. Quindi la creazione di servizi per rendere queste informazioni più facilmente consumabili è data per scontata e rappresenta solo uno dei layer al loro accesso.
    Naturalmente l’infrapposizione del servizio tra il dato ed il “client” che lo rappresenterà potrà togliere purezza all’informazione poiché di fatto ne farà una sintesi, un incrocio, un’analisi e così via… ma non dimentichiamo di che cosa stiamo parlando: dati apparentemente senza alcun legame ma in qualche modo raggiungibili, classificabili ed analizzabili. .. E tanti, tanti dati sia storici che soprattutto in tempo reale!
    I servizi avranno il compito di rendere molto più accessibile queste informazioni. Sarà poi la qualità del servizio stesso in termini di visione sul dato, aggiornamento e capacità d’interazione, che farà selezione tra i servizi disponibili premiando i migliori, mentre ai diversi tipi di client spetterà il compito del mashup finale delle informazioni per la loro rappresentazione contestualizzata.

  • Max |

    @Davide: tra l’altro l’inserire uno strato di integrazione come Open Services può anche significare l’inutilità di continuare ad offrire i dati in download in formato CSV. Chi non è ancora partito in questo senso potrebbe anche essere avvantaggiato.
    Ho appena scoperto che Alfonso Fuggetta un paio di mesi fa ha pubblicato un post i cui propone un approccio simile al mio e lo chiama Open Service: http://goo.gl/yuq0Z
    Indubbiamente lui è arrivato prima, resta solo da capire chi è Meucci e chi è Bell 🙂

  • Max |

    @Andrea: i LOD sono senz’altro un passo avanti rispetto ai classici OD, ma il loro limite è l’essere essi stessi dei dati, magari aggiornati, magari in un formato che può facilitarne la fruizione, ma sempre solo dati. L’innovazione degli Open Services presuppone che si passi da una logica data-centrica ad una centrata sul servizio che si vuole offrire all’utente finale. Il servizio, nei fatti, è una funzionalità IT che dovrà essere realizzata da qualcuno e questo qualcuno avrà grandi vantaggi nell’utilizzare apposite API pubbliche inserite in uno strato di integrazione piuttosto che dover entrare nel merito del dato per fare correttamente l’interrogazione al database.
    Anche in questo caso l’astrazione ed il disaccoppiamento tra dati e funzionalità sono due elementi di qualità dell’architettura.
    Grazie per il suo commento.

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