Nei giorni scorsi, in occasione di un convegno, mi è capitato di discutere con alcuni amici del caso di United Breaks Guitars, la discussione si è quindi spostata velocemente su come ancora oggi, a distanza di qualche anno, le grandi aziende consumer gestiscono la propria presenza sui social media in termini di advertising e di gestione del cliente.
Per chi non conoscesse il caso in questione, ecco una breve sintesi: nel marzo 2008 i Son of Maxwell, una band country canadese, fanno scalo a Chicago mentre con un volo della United Airlines si recano in Nebraska per un tour musicale. Durante lo scalo sono testimoni della scarsa cura con cui il personale di terra movimenta i bagagli, il risultato è che la chitarra di Dave Carroll, il leader della band, viene seriamente danneggiata.
Dave prova in tutti i modi a far valere i suoi diritti, contattando la United Airlines per mesi e con tutti i canali a sua disposizione, senza però riuscire a recuperare i 1.200 dollari di danni subiti dal suo strumento, una Taylor del valore di 3.500 dollari.
Preso dallo sconforto Dave Carroll compone un pezzo dedicato alla sua disavventura: United Breaks Guitars e li pubblica su youtube, eccolo:
Il risultato è un video virale che, ad oggi, ha superato gli 11 milioni di visualizzazioni e 4 milioni di download da iTunes (al prezzo di 0,99 dollari).
Dave quindi si è ampiamente ripagato la sua magnifica Taylor, ma che ne è stato di United Airlines?
Si stima che la compagnia aerea abbia perso, grazie all’effetto virale del video, circa 180 milioni di dollari grazie al crollo del 10% del valore delle sue azioni nei giorni successivi alla pubblicazione, pari a circa 51.000 volte il valore della chitarra nuova di Dave.
La cosa sconcertante è che ancora oggi, a distanza di 3 anni, moltissime aziende nel mondo si presentano sui social media senza alcuna strategia e senza conoscerne minimamente i meccanismi, con risultati spessissimo devastanti per il brand.
Sempre più spesso si vedono aziende, anche grandi multinazionali, aprire pagine corporate su Facebook e tentare di imporre precisi comportamenti agli utenti, censurando i commenti ed arrivando addirittura a minacciare azioni legali.
Allo stesso modo si vedono aziende comparire su Twitter lanciando campagne di coinvolgimento degli utenti, senza però saper accettare le critiche che da questi possono arrivare.
La presenza sui social media non si improvvisa, deve essere ben preparata, pianificata ed affidata a professionisti, non basta aprire un account Facebook o Twitter per “essere 2.0”.
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